Guard Rail cede causa uscita autonoma di un automobilista.
Sull’ordinanza n. 30921 del 22 dicembre 2017 della Corte di Cassazione, che riguarda il caso di un sinistro stradale nel quale un automobilista, a causa della forte velocità, perdeva il controllo della sua auto urtando contro il guard rail che però cedeva con conseguente uscita di strada. Quale rilevanza assume l’eventuale inidoneità del guard rail? Le conclusioni degli ermellini destano non poche perplessità.
Con la sentenza 30.921 del 22.12.17, la Corte di Cassazione si pronuncia sulla vicenda relativa a un sinistro di ben quindici anni prima, nel dicembre 2002, allorquando un automobilista aveva sbandato con la propria vettura ed era finito con la stessa in una scarpata contigua alla sede stradale a causa del cedimento dell’ivi esistente guard-rail.
All’attore, che aveva evocato in giudizio l’amministrazione provinciale proprietaria del bene, venivano liquidati i danni nella misura del cinquanta per cento in virtù di un addebito concorsuale e paritetico di responsabilità per non aver egli tenuto un’andatura consona allo stato dei luoghi.
La sentenza era impugnata in appello e i giudici di secondo grado respingevano le doglianze dell’infortunato affermando che, nella fattispecie, era stata correttamente accertata e dichiarata la corresponsabilità dell’infortunato. Quest’ultima, infatti, doveva reputarsi compatibile con l’applicazione dell’art. 2051 del Codice civile in capo all’amministrazione pubblica provinciale titolare del manufatto.
Il danneggiato, insoddisfatto del verdetto, ricorreva quindi in Cassazione rifacendosi proprio ai principii dell’art. 2051 c.c. (per i quali è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova del nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso) ed evidenziando come fosse del tutto mancata, sia in primo che in secondo grado, un’adeguata indagine circa l’idoneità del guard-rail (laddove costruito a norma di legge) ad assorbire l’impatto con la vettura.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso mettendo in rilievo come – anche nel caso di applicazione della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 – può e deve entrare in gioco la valutazione della condotta del danneggiato che deve essere esaminata e verificata (se del caso, d’ufficio) dal giudice. E ciò onde approfondire l’eventuale incidenza causale del comportamento colposo del danneggiato nella generazione dell’evento.
Nel caso in esame, i giudici d’appello avevano, per l’appunto, confermato la sussistenza di una condotta colposa della vittima e avevano conseguentemente ritenuto che il suo imprudente contegno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227 c.c., era idoneo a limitare il danno risarcibile; non solo nel caso in cui si fosse fatta applicazione dell’art. 2043 c.c., ma anche nell’ipotesi in cui si fosse sussunta la fattispecie entro le coordinate normative dell’art. 2051 c.c.
La Corte ha colto anche l’occasione per rimarcare come – in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. che ha ridotto al minimo il controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di una sentenza – gli apprezzamenti di fatto del giudice di merito non siano “tangibili” dai giudici di legittimità salvo il caso in cui essi siano vulnerati da macroscopici vizi logici o giuridici.
Inoltre, l’applicazione del noto principio della causalità adeguata fa sì che debbano considerarsi conseguenze normali (imputabili, in quanto tali, a una condotta umana attiva od omissiva) tutte quelle che costituiscono “ricadute”, sul piano fattuale, di una catena consequenziale di fattori scaturiti da una condotta “originaria”. Perché, ovviamente, quest’ultima ne costituisca l’antecedente necessario e purché le conseguenze possano definirsi “normali” secondo l’id quod plerumque accidit; quindi, in base a un approccio di ordinaria regolarità statistica. Tutto questo riguarda, s’intende, la cosiddetta causalità materiale.
Per quanto riguarda, invece, la causalità giuridica, possono considerarsi risarcibili, secondo gli ermellini, le conseguenze “immediate e dirette”. Nel novero di esse andranno ricomprese il lucro cessante e la perdita di chance, intese (il primo) come accrescimento patrimoniale che il danneggiato avrebbe conseguito o come decremento patrimoniale che egli avrebbe evitato se non si fosse verificato l’evento; il secondo, invece, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene connotata da un “grado di elevatissima probabilità”.
Proprio alla luce di tali principi, è dirimente – nella vicenda di cui stiamo parlando – il fatto che la vittima abbia contribuito in maniera rilevante a generare l’evento e ciò anche a voler concedere (come, per l’appunto, ha fatto il tribunale con un apprezzamento insindacabile in sede di legittimità) che vi fosse una debolezza strutturale nel manufatto che era destinato a contenere il veicolo e che, invece, ha tradito la sua funzione “genetica”.
A questo punto, la Cassazione sostiene che non può rientrare nel concetto di conseguenza immediata e diretta il mancato avveramento di una evenienza più favorevole per il danneggiato come sarebbe stata l’ipotesi, non indagata né in primo né in secondo grado, che l’auto avesse impattato contro un guard-rail ben fatto e “a norma”.
Il principio di diritto è così compendiato dalla Corte: “Una volta verificatosi un evento dannoso ricostruito, con valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, come causalmente ascrivibile pure alla condotta colposa del danneggiato, non può essere presa in considerazione, quale evenienza non impedita e tantomeno al fine di una sua diversa quantificazione risarcitoria, la minore entità del danno che sarebbe dipesa da una serie causale alternativa a quella effettivamente verificatasi in concreto, quale un minore od un assente grado di colpa in capo al responsabile”.
La motivazione, peraltro, non ci convince per due ragioni dirimenti.
In primis, perché la Corte ha confuso due concetti che afferiscono al problema del nesso causale; e cioè, da un lato la causalità giuridica che lega la condotta all’evento e, dall’altro lato, la causalità materiale che invece si occupa del diverso tema della connessione tra l’evento e le sue conseguenze pregiudizievoli per il danneggiato. In particolare, la questione delle conseguenze immediate e dirette di cui parla l’art. 1223 del c.c. pertiene esclusivamente alla causalità giuridica e non alla causalità materiale.
In secundis, è un controsenso logico e giuridico affermare che non si possa prendere in considerazione (pur in presenza di una condotta colposa concorsuale da parte del danneggiato) la minore entità del danno che sarebbe dipesa da una serie causale alternativa rispetto a quella effettivamente verificatasi.
Infatti, portando alle estreme conseguenze il ragionamento viziato dei giudici di legittimità, si giungerebbe a conclusioni paradossali. Come quelle, per esempio, di non tenere nel minimo conto le condotte omissive dei soggetti responsabili di un danno. Altrimenti (e banalmente) detto: se tu sei tenuto, per legge, ad approntare delle barriere stradali di sicurezza di acciaio e le costruisci invece di legno, il maggior danno arrecato alla vittima che (anche per sua colpa) infrange quelle barriere lignee e precipita di sotto non può non considerarsi direttamente riconducibile alla tua condotta omissiva.
In definitiva, la sentenza in commento merita una seria rilettura critica onde evitare degenerazioni interpretative foriere di future pronunce giurisprudenziali che potrebbero seguire “a strascico”.